lunedì 21 maggio 2007


Non riesco a capacitarmi dell' effetto venefico della città di Milano sul mio me. Li per li il contatto con questa città mi ha raggelato, ma poi vivere di nuovo i miei minuti in questa gabbia di merda secca è stato anche peggio. Sono più fuori di un alcoolista affezionato al marciapiede, più cinico di un trasfertista, più disilluso di un torero stanco. Non è rimasto niente, amici miei, niente che sopravviva alla durata di un' emozione. E' ovvio che nessuno è salvo, che tutti stiamo scivolando impantanati verso la merda. E' ovvio che chi è nella merda da secoli ci gode. E' ovvio che chi sarà nella merda dopo di noi non ci vorrà troppo bene, a meno che non sia proprio nostro figlio. E' ovvio che se sto meglio tra estranei che tra amici c' è qualcosa che non va. E' ovvio che se continuo a raccontarmelo e non reagisco vivro' una vita grama. E' ovvio che l 'amore non esiste, per chi è triste. Mi dispiace, non riesco a fae a meno di notare i giochi di parole. Non riesco a fare a meno di notare che non mi guardi in faccia, non riesco a fare a meno di cercare il sangue di che ti è veramente fratello. Sono cazzi miei, avevo dei demoni, adesso ho degli amici.

Audio: Black Rebel Motorcycle Club\Howl\Devil' s Waitin'

martedì 8 maggio 2007

Ma come fanno i marinai

Ma dove vanno i marinai con le loro giubbe bianche sempre in cerca di una rissa o di un bazar Ma dove vanno i marinai con le loro facce stanche sempre in cerca di una bimba da baciar. Ma cosa fanno i marinai quando arrivano nel porto vanno a prendersi l'amore dentro al bar qualcuno è vivo per fortuna qualcuno è morto c'è una vedova da andare a visitar. Ma come fanno i marinai a riconoscere le stelle sempre uguali sempre quelle all'Equatore e al Polo Nord ma come fanno i marinai a baciarsi tra di loro a rimanere veri uomini però. Intorno al mondo senza amore come un pacco postale senza nessuno che gli chiede come va col cuore appresso a una donna una donna senza cuore chissà se ci pensano ancora, chissà. Ma dove vanno i marinai mascalzoni imprudenti con la vita nei calzoni col destino in mezzo ai denti sotto la luna puttana e il cielo che sorride come fanno i marinai con questa noia che li uccide addormentati sopra un ponte in fondo a malincuore sognano un ritorno smaltiscono un liquore affaticati dalla vita piena di zanzare che cosa gliene frega di trovarsi in mezzo al mare a un mare che più passa il tempo e più non sa di niente su questa rotta inconcludente da Genova a New York ma come fanno i marinai a fare a meno della gente e rimanere veri uomini però. Intorno al mondo senza amore come un pacco postale senza nessuno che gli chiede come va col cuore appresso a una donna una donna senza cuore chissà se ci pensano ancora, chissà.

Come natura crea


Lazio meridionale, ovvero il lussureggiare della natura. Abbandonata la farraginosa periferia romana, mi lancio verso il frusinate, zona famosa per il fatto che la gente parla un napoletano che si capisce. E’ la zona di Cassino e del suo Monte, teatro di uno degli avvenimenti più insanguati e bastardi della storia dell’ ultima (?) guerra (‘Eh, dovevn passèr scto fiumm, e mica li lascièvn passèr eh, gli scparèvn addoss, sa’). In realtà il Lazio ne ha un bel po. Se vedi il monastero da sotto, pero’, e hai abbastanza immaginazione da essere li in quei giorni, ti sembra tutto un po’ meno libresco e più ragionevole, per quanto puo’ esserlo spararsi addosso in centomila contro centomila. Sto cavolo di monte è veramente ripido e arrivarci a piedi con qualcuno che ti bombarda da sopra non è possibile. Non ho dati, ma mi sa che qui ne sono morti una cifra, compresi i marocchini mandati avanti, compresi i partigiani mandati avanti prima dei marocchini. Dopo, quando hanno cominciato a crepare un po’ troppi americani, The Allies hanno deciso di cannoneggiare il monastero e tutti i tedeschi che erano asserragliati dentro. Dopo lo hanno ricostruito quasi subito (mi sa che il papa ci ha messo lo zampino e gli ha rotto un po’ l’ anima, al Truman), per quanto riguarda i tedeschi asserragliati invece non c’ è stato niente da fare. A me i tedeschi col fucile mi stanno sui coglioni per partito preso, pero’ venire fin quaggiù per crepare non deve essere stato troppo bello. Insomma, scorrazzando per le stradine della campagna laziomeridionale questo monte lo vedi spesso ma non tanto volentieri, visto che quella campagna li è veramente pacificatrice e il monte invece è molto tetro e ha proprio l’ aria di portare un po’ sfiga. Nella piana invece è una figata. Grazie alla stagione propizia è tutto verde e rigoglioso, ma un botto di verde spesso e pieno. E’ tutto dolce e mite, gli alberi sono dolci e miti, le curve sono dolci e miti, i corsi d’ acqua sono dolci e miti, le benzinaie sono dolci e miti. Eh, si, questo è un luogo fortunato, visto che devo fotografare una delle tre (3) benzinaie Erg d’ Italia. Ed è doppiamente fortunato visto che lei è particolarmente carina: ha la grazia degli incroci pericolosi, padre portoghese e madre francese, e la lieve apprensione con cui si fa malamente fotografare mi squaglia il sangue din’t evvene (bello sforzo). I mariti e i suoceri invece non sono tanto dolci né miti. Per cui, fatto il mio sporco lavoro, inverto la marcia e spingo il mio furgonetto bianco (di cui vi devo parlare, prima o poi) verso: ‘ L’ olandese Volante – Ristorante, Bar, Pesca sportiva’. Questo è il tipico luogo ameno: vi si accede grazie a una brave deviazione dalla strada principale ( in realtà la prima strada seriamente principale è a 27 km), tra lecci e salici (ma che ne sai?). Una cosa veramente simpatica da queste parti è il concetto di camporella. Basta un cespuglietto per creare un’ alcova, uno scanso lungo una strada secondaria (di quinto grado) per appartarsi. Anche alle due del pomeriggio. Evviva l’ amore. Alla fine della stradicciuola c’è l’ olandese: un lago artificiale, perfettamente rotondo di circa 200 m di diametro, con al centro un getto d’ acqua a quattro alto un dieci metri che rinfresca l’ ambiente ai poveri pesci braccati da cinque/sei pescatori sportivi. Tutti si muovono, ma appena appena. Un cagnetto fa il bullo ma poi mi riempie la mano di saliva e torna a dormire. Adesso faccio parte anch’ io della combriccola, così mi piglio un caffè e mi piazzo tattico su una panchina all’ ombra. Una signora esce dal baretto e stende due magliette su un tubo. Poi, come se mi fossi sua cognata mi fa: che bello ‘o sole, si asciugano subbit’ Il rumore dello spruzzo d’ acqua si mescola a quello delle frasche al vento e così, per dieci minuti, anch’ io ho qualcosa da fare. Mi raccomando: chi pesca lo storione deve subito ributtarlo in acqua e avvisare la direzione. Riceverà un premio.


Per non si sa quale motivo, post tutto al maiuscolo. Evviva.

Chevron


La pagina di ieri riflette concetti razzisti che mi sono saliti durante la giornata. Ma la bassezza dell’ essere mi fa schifo, e non posso farci niente. Mille sono i segni dell’ abitudine a guardare dall’ altra parte e tirare dritto: le mezze voci timorose delle consonanti, i sorrisi inchiodati per prendere tempo etc. Questi atteggiamenti, per fortuna, sono tipici soltanto di una parte di laziali, cioè quelli che si atteggiano a signori. Sospetto che un vero laziale, anche se in posizione socialmente elevata o economicamente importante, non sarà mai un vero signore. Si porterà sempre dietro quella patina unta di spocchia, la foto della mamma nel portafoglio, il gagliardetto della Magica. Ma per lo meno mi capita di incontrarli di rado. Orrendi invece gli atteggiati a pezzi grossi solo perché hanno un fax o un maghinone, gli imborghesiti col giacchino da troia e gli zoccoli da caciottaro. Certi culoni grossi fasciati in fuseaux bianchi, top nero anch’esso fasciante, una tortura per i rotoli di panza che spingono per memoria di forma, mento alto, faccia truccatissima e occhiale gigante a nascondere lo sguardo vacuo e le traccie di coca o botte. Con un lui preferibilmente su auto tedesca, vestito scuro, camicia dal colletto alto e lungo, abbronzatura fatta dal carrozziere, oro, oro, oro, capello riccio, lungo appena brizzolato e unto, unto, unto, spero che sia gel. Cammina come se avesse in mano una pagaia, gettando occhiate incrociate col passo (pied sinist, sguardo dest) come se dovesse immettersi a un incrocio. Probabilmente sta andando al bar. Voglio finire questa zona al più presto e andare via. C’ è poi una parte di popolazione laziale, a occhio, la più genuinamente laziale, un po’ toscana un po’ napoletana, che ti si para davanti come se ti aspettasse, come se ti conoscesse, e questa familiarità che ti danno da subito da a le cose la loro reale importanza, cioè nessuna. Passando due minuti con una persona così sembra ovvio che la vita si vive momento per momento, e ogni complicazione, ogni preoccupazione espressa diventa un buon motivo per farsi una risata. 10 e lode.

Stamattina ho raggiunto Tivoli. Attorno alla Villa Adriana, si estende un area di varia produttività che inonda il circondario di caos e polvere. Tivoli è una città costruita sul bordo di una cava di tufo a cielo aperto. O, più probabilmente, questi tizi che scavano dal 1939 sono arrivati a scavare sotto le prime case. E’ uno dai posti più caotici che abbia mai visto, il traffico misto di autotreni e auto è intenso e pervasivo. In mezzo a questo casino lavorano due fratelli, venditori di benzina dal, udite udite, 1958. Il primo cià la faccia da attore vero. La storia del loro distributore, scandita a decenni, lo illumina di una luce veramente cinematografica, ha lo sguardo accigliato ma sereno, da vero uomo insomma. E la storia me la racconta tutta, visto che il fratello, titolare della foto da fare, non c’ è e lo aspettiamo. Stessa strada stessa porta da cinquant’ anni, la storia dell’ italia repubblicana ha fatto benzina da loro. Hanno cambiato marca tre o quattro volte. I migliori: la Chevron. Aaahh, la Chevron, quelli si che erano gente apposto: americani. Ah, gli americani si, loro si che sono gente apposto. Questo tipo è veramente invaghito degli americani, in un modo che trascende ogni possibile considerazione anche a posteriori, anche adesso, che sono qui da solo. Lui ha conosciuto gli americani in un tempo in cui noi ci avevamo le pezze al culo e loro ci portavano i dollari, ci insegnavano a lavarci la camicia e a fare i soldi. Li hanno conosciuti quando ci hanno rimesso in piedi, quando ci trattavano da cuginetti di campagna da educare, da indirizzare. Ci hanno aiutato a rifarci la faccia, ci hanno reso una dignità che ci eravamo sputtanati con le nostre mani e coi nostri manganelli. Avevamo perso una guerra (contro di loro o contro la germania? O contro di noi? Quante guerre abbiamo fatto in quei cinque lontanissimi anni? Troppe,e le abbiamo perse tutte. Vedi cap. ‘25 aprile’), non avevamo più niente, solo fame e puzza di morti. Quelli ci hanno portato la democrazia e la benzina. E questa faccia abbronzata che mi racconta, questo Caio Giulio decaduto reincarnato in Gary Cooper (è un bell’ uomo davvero, è un vero attore), gli americani se li ricorda per quello che sono stati: quelli che gli hanno dato una divisa bianca col farfallino per fare benzina alle auto e li hanno così tirati fuori dalla merda e dai di merda ricordi. Quanto costava la benzina nel ’58? Boh?

Ottantacinquemila euro, hhhhh,da scontare!!

A parte il lavoro che tanto aspettavo eccetera, che ora non cio' voglia, devo assolutamente raccontare dei laziali.I laziali sono sconci e amichevoli come prostitute in pausa pranzo, bassi e concreti, sformati ed esteti, puzzo di piscio papalino, amore per i cavalli nonostante la merda. Ospitano di gran lunga meglio di ogni altra popolazione che ho visto, non molte a dire il vero, la sconcezza della modernità supermarkantile, frantumi di comunicazione e infrastrutture piovuti li chissà perché ma senza troppo dispiacere per nessuno. Corpi e menti deformati da secolare abitudine a star sotto, e la sotto sgamarsi l’ un l’ altro un tozzetto di pane, feroci ma soltanto lontano dal limite che da sempre separa belli e brutti, cameratismo repubblicano che fodera un nocciolo ottuso da secoli e secoli di preti al potere. Incrostazioni, stratificazioni di bruttezza su un terreno bello, vario e ricco, di boschi e fiumi e di una quantità di laghi, grandi e piccoli. profili perfetti di prati altrimenti intonsi sfigurati da villette abusive non finite che sono grottesche e involontarie parodie di castelletti medioevali. Ho guidato per parecchi chilometri e ho attraversato oasi di bellezza ed equilibrio, ma devo aver sbagliato itinerario perché ho concluso la giornata in una infinita periferia, dove la gente deve urlare per coprire il rumore incessante delle auto, dove non riesci a vedere la strada per l’ accozzaglia di segnali e segnaletti che ti vogliono raccontare a tutti i costi dov’è quella inutile e brutta cazzata di cui non mi frega un bel niente, e, lasciatemelo dire, di cui non dovrebbe fregare un bel niente a nessuna persona sana di mente. Un posto in cui ‘alberghetto carino’ significa porte in plexiglas e odore di candeggina e foto di papi, roba tirata su esclusivamente come distaccamento per i pellegrini tra motorini truccati triposto e pizzerie ‘de na vorta’ vista autostrada. E c’è qualcosa di strano, non l’ ho ancora capito, ma il rapporto fra questo luogo e la gente che lo abita mi sfugge. Non percepisco critica, disgusto, distacco, niente di simile. Non gliene frega un cazzo a nessuno, come se l’ essere nati in un luogo fosse definitivo come, più di una condanna. Mi dispiace avere questa percezione globale dei laziali perché ho incontrato anche gente davvero apposto socievole e franca, semplice e tutta d’ un pezzo, senza sbavature, ci ho lavorato bene, ci siamo fatti quattro risate e abbiamo pure espresso dei concetti. Niente di che ma molto di più di 'Aho!' e 'Figa!'. Ho voglia di un club giacobino.

140 km/h






La giornata comincia a Milano, come sempre, ma con una vibrazione dovuta all’ imminente partenza. L’ ho aspettata per un po’, per un periodo non lungo ma parecchio teso, vibrante, appunto, per alcuni giorni che mi sono bruciati sotto i piedi, tutti proiettati verso l’ imminente futuro, passati a cercare di immaginare che cosa e come sarebbe successo. Se ne è parlato alcune volte, ci ho pensato un sacco di tempo, ma non era possibile, e non lo è neanche adesso, non lo è ancora, sapere che cosa e come avrei fatto. Beh: lo sto facendo, finalmente.

Dicevo: a Milano le cose vanno come devono andare a Milano. Come spiegarle? Le cose a Milano vanno come un riassunto, perché non c’e tempo da perdere a spiegare. Ma ce n’ è così poco davvero di tempo, e tante cose da fare, che non si fa un riassunto logico, ma ortografico: le cose a Milano vanno come una storia raccontata senza vocali. Cioè: l cs mln vnn cm n str rccntt snz vcl. Tanta roba. Pero’ la stagione è veramente bella, la migliore che si possa avere in un luogo così lontano dal mare e così vicino Svizzera, e poi il momento non è nemmeno dei peggiori, visti tanti altri nella mia vita. Per cui l’ ansia rimane leggera e stempera volentieri in pragmatismo e reattività, tanto che riesco a sfruttare al meglio anche ritagli di tre minuti. Voto: 7.

Le valigie erano pronte (così sembra dottor Zivago: i vestiti sono nella borsa del calcetto e tutto il resto nello zainetto della fotomacchina. Fine delle ‘valigie’) e recuperato l’ automezzo..insomma: sono in barriera alle15.30. I camion strombazzano dalla felicità e si sorpassano festanti rendendomi piacevole anche il tratto fino a Lodi, che è patrimonio dell’ UNESCO, se non lo sapete, sembra uno Sposalizio del Mare suburbano, col padroncino più anziano che sale sul camion più bello e va nel punto più disperso della rete infrastrutturale milanese per ribadire eterna fedeltà a Società Autostrade seguito da un numero altissimo di motori a scoppio, di ogni foggia, categoria e provenienza. In mezzo a questa fiumana di automezzi ci sono anch’io, sul mio bel furgonetto bianco due posti diesel di cui parleremo, felice come un coglione, occhiali da sole, braccio fuori, paglia in bocca e Johnny Cash che si perde fra le corsie. Come dire, mi sento leggermente on the road.

E mi ci sento ancora adesso che scrivo, rifocillato e ospitato da una coppia di amici, in parte di famiglia, in parte miei, in parte genitori di una cara amica. Insomma da due amici. Mi hanno piazzato nel loro casale nella campagna della bassissima Maremma, praticamente appena varcato il confine Toscolaziale. In questo momento sento almeno quattro uccelli diversi richiamarsi alla copula, qui fuori c’ è un pastore maremmano vecchio quindi arteriosclerotico quindi potenzialmente letale ma con un pelo da vera pecora, al di la del fosso al lato del campo c’ è un maneggio, dal quale, stranamente, non si leva nessun tanfo di letame. Se non fossi stranamente equilibrato sarebbe già l’ Oklahoma. Come faccio a pensare di essere così equilibrato? E’ molto semplice. Lo ho capito oggi, in due tempi, lungo il tratto di strada tra Livorno e Grosseto. In quel tratto, tempi addietro, ho vissuto due dei momenti più belli e bruciacchianti della mia vita. Due di quei momenti che li’ per li’ sei solo su di giri, ma dopo ti rendi conto che eri proprio felice e che non te li scorderai mai, e che anzi diventeranno il paradigma della felicita’ e che farai di tutto per sentirti nuovamente così. E posso dire di sentirmi equilibrato perché i bei ricordi di libertà e amore hanno impregnato quel paesaggio in maniera definitiva sì, ma se si chiamano ricordi sono ricordi, non sogni né rimpianti, e passare per San Vincenzo e Venturina mi fa star bene ma dopo basta. Ovviamente non è il passare di li in se e per se che scatena la mia felicità. Anche perché adesso ci vado in autostrada e in macchina (come un qualsiasi adulto con la pila in tasca) ma da solo come un mona, (come un qualsiasi single). Vaffanculo, mi sono emozionato e dopo mi son fumato una bella sigaretta. Due volte.

In effetti, superata la Cisa e le zone di casa (passare l’ uscita di Sarzana ai 140 è bellissimo) l’ autostrada toscana è facile e diritta. Ti permette di rilassarti e di lasciarti prendere dal viaggio. Per di più il paesaggio è veramente bello. Anche le discariche sembrano giocattoli se immerse in una collina morbida e verde, i cavalcavia sembrano diorami da modellisti e le persone che fanno cose strane in posti strani lungo l’ autostrada (in toscana c’è un sacco di gente che se la passa lungo l’ autostrada, e sono tutti in jeep o in bici) sembrano li apposta per farsi fotografare. Ma non da me che li per li stavo guidando. La notte scende lentamente, si concretizza, è un addensarsi del cielo, il blu che impregna il velo trasparente del giorno. E’ calda e protettiva, appoggiata sulle forme morbide che sto percorrendo da qualche ora. Ho la colonna sonora giusta, per fortuna non mi sono fatto prendere la mano e ho un bel po di roba easy. Per viaggiare bene è importante ascoltare musica giusta. Niente di grungioso, o dopo un po’ credi che il motore stia grippando o se grippa davvero non te ne accorgi, niente di elettronico, che è roba troppo eterea rispetto al viaggio, che nonostante la fama che ha è una esperienza fisica: sei tu nello spazio, molto più di tante altre volte, e se ci piace interiorizzare è solo perché viaggiando hai un sacco di tempo da perdere . Niente di funky o reggae, perché non puoi ballare, niente di serio perché non puoi dormire. La scorta che ho è doppiamente buona: si intona anche col tremare sordo del diesel

Breve intro dove si spiega perchè di nuovo in blog







Sto viaggiando, per lavoro. Foto delivery, con una tabella di marcia abbastanza serrata e poco disponibile alle divagazioni. Insomma, non ho molto tempo per fare le fotine ai paesaggi e ai personaggi. Sicchè la sera, nelle mie stanzette d' albergo fortunose, cerco di salvare più ricordi possibili. Perchè sto girando per l'Italia, questo ente impalpabile e impronunciabile che sto tatuando con i miei percorsi arabeschi. No, magari, sono solo tortuosi. Non lo sapevo, ma l' Italia esiste.